#3 Sanremo, obesità e altre malattie
Il Festival dei fiori e della musica italiana, volendo, può diventare occasione di qualche riflessione, anche sulla salute
Quest’anno mi sono persa le prime serate del Festival di Sanremo, ma in Italia se vivi nel mondo, leggi i giornali e navighi tra i social non hai bisogno di cercare Sanremo, è Sanremo che cerca te. Mi guarderò la finale di stasera, ma in ogni caso, anche a volerlo fare (e non è il mio caso), è difficile sfuggirgli del tutto. Perché alla fine, più delle canzoni, conta l’attenzione catalizzata per una settimana sui media e nei discorsi al bar da questo evento che non parla di musica, ma – ormai lo sappiamo - parla di noi.
Che piaccia o no, infatti, Sanremo è una sorta di distillato, aggiornato ogni anno, dell’avanzamento (o della regressione) della società italiana nel suo insieme, una sorta di sintesi che ci permette di sbirciare al di fuori delle bolle di ciascuno. Puoi scoprire così che da un lato c’è ancora chi si scandalizza per un uomo in gonna (e che uomo!), ma che dall’altro tra fiori, cuore e amore riescono a farsi strada, per esempio nelle parole di Ghali, riflessioni sull’identità nazionale e l’inclusione. Ma anche, quasi in un carosello surreale e psichedelico di applausi e luci, un ricordo dei morti sul lavoro, dei femminicidi, delle guerre e della strage di migranti che tentano ogni giorno di attraversare il Mediterraneo.
Certamente in maniera superficiale, quasi a flaggare l’uno o l’altro problema. Ma arrivare a Sanremo significa comunque raggiungere un’audience nell’ordine di 10 milioni di spettatori, e molti di più che, pur senza guardare lo spettacolo in tv, ne discuteranno. Anche uno slogan o una breve apparizione può suscitare qualche riflessione, e non solo sulla scenografia che a un medico appare, più che altro…renale.
La malattia in scena
Nell’assurda maratona di cinque serate trascinate fino alle due di notte c’è quindi spazio per tanti temi che ci toccano da vicino. Anche per la malattia, fisica e psichica. Ricordo nell’edizione del 2016 la straordinaria esibizione del pianista torinese Ezio Bosso, colpito da una malattia neurodegenerativa che già gli ostacolava la parola e quattro anni dopo lo avrebbe portato via. Nel 2021 toccò a Sinisa Mihajlovic, già ammalato di leucemia, in duetto con Zlatan Ibrahimovic.
Chissà quante altre volte che non mi ricordo il cancro o altre condizioni gravi sono arrivate sul palco dell’Ariston: se da un lato c’è sempre il fastidioso e fondato sospetto che questi intermezzi sfruttino la sofferenza per fare impennare gli ascolti toccando le corde dei telespettatori più sensibili, dall’altro ci ricordano che la malattia fa parte della vita, anche di quelli che riteniamo più fortunati (guardate alla casa regnante inglese, due diagnosi di tumore e un intervento serio all’addome nel giro di una settimana!).
Che piaccia o no, infatti, Sanremo è una sorta di distillato, aggiornato ogni anno, dell’avanzamento (o della regressione) della società italiana nel suo insieme, una sorta di sintesi che ci permette di sbirciare al di fuori delle bolle di ciascuno
Nei testi delle canzoni di quest’anno, in particolare, ci sono anche tanti cenni alla questione sempre più urgente della salute mentale, settore cui – secondo i dati più recenti che ho trovato – l’Italia destinava nel 2019 meno del 3% della spesa sanitaria complessiva (contro il 10% circa dei principali Paesi ad alto reddito), ponendosi così tra gli ultimi posti della classifica europea. Non stupisce quindi che, secondo un sondaggio condotto su più di 30.000 persone di 16 paesi, gli italiani risultino quelli che dichiarano minor benessere da questo punto di vista, al pari dei giapponesi.
Sanremo rispecchia questo disagio, in crescita soprattutto tra i più giovani, con le “caramelle anti-panico” di Alessandra Amoroso che si sente precipitare come da un grattacielo, con le “bimbe incasinate con i traumi da snodare piano piano con l’età” di Angelina Mango, le “corse a fari spenti” di Clara, autodistruttive come il destino e il vomito dei La Sad, mentre Annalisa per fortuna ci rassicura sul fatto che anche “quando quando quando” piange, “sinceramente” non “si sogna di tagliarsi le vene”. Dalla sua svagata interpretazione, altrettanto sinceramente, non avevo dubbi, e meglio così. Ho trovato molto più credibile Loredana Berté che canta di “pazzia” con la dolorosa consapevolezza di chi riconosce i suoi limiti, anche per aver conosciuto in prima persona, e tra chi le era vicino, il disagio e lo stigma della malattia mentale.
Mentre scrivo non è ancora riapparso sul palco il deejay Gigi d’Agostino*, dopo la grave malattia che lo ha tenuto lontano dalle scene, ma ha già dato la sua testimonianza Giovanni Allevi. Non sono una fan della sua musica, ma ricordo con piacere quando nel 2019 mi volle con lui sul palco del Festival Scienzeinvetta a Courmayeur, ben prima che scoprisse di avere un mieloma multiplo, il più frequente tra i tumori che colpiscono il midollo osseo, dove si formano le cellule del sangue. Allevi ha detto che è una malattia cronica, da cui per il momento non si può guarire.
Ma ciò non significa che non si possa curare (sulla differenza tra “curare” e “guarire” ti rimando al mio “Controglossario di medicina”) , ma in realtà anche su questo fronte la ricerca sta procedendo molto spedita, offrendo di anno in anno nuove soluzioni.
Proprio in questi giorni sono usciti nuovi dati relativi a farmaci e associazioni di farmaci promettenti anche nei casi più resistenti alle cure o ricaduti dopo un primo successo, e da un paio di anni si applica anche alle forme avanzate di questa malattia la tecnica avanzata delle cellule CAR-T. Niente miracoli, ma piccoli o grandi passi in avanti che alimentano la speranza per questa e altre malattie neoplastiche.
*previsto per la serata di venerdì
Né una guerra, né una benedizione
D’altra parte è sempre difficile parlare di cancro, come spiegai qui, qualche anno fa, parlando di Nadia Toffa, che poi sarebbe purtroppo mancata l’anno successivo. Non bisognerebbe mai trattarne come di un combattimento, dicevo già allora, perché la retorica del “malato guerriero” – che pure può sostenere qualcuno, come ho visto nel mio amico Francesco - può essere dannosa per molti altri.
Lo ha ricordato anche Dario Bressanini nelle sue storie Instagram e nella sua opera a fumetti “Doctor Newtron” che trovate a questo link affiliato, dove accenna anche in maniera non troppo velata alla sua esperienza personale dopo la diagnosi di un melanoma a un occhio.
Può però suonare melensa anche la retorica della malattia come “dono”, trapelata dalle parole di Allevi: il cancro fa schifo, e nessuno vorrebbe averlo. Eppure, tante persone raccontano di aver saputo ritrovare se stessi attraverso la malattia, ristabilendo le priorità della propria vita. Con quale diritto possiamo negare loro la possibilità di parlarne in questi termini, noi ai quali non è ancora mai capitato (o anche chi, essendosi ammalato, l’ha vissuta in maniera diversa)? Impariamo ad ascoltarci l’un l’altro con rispetto.
E comunque, è stato bello quando Allevi ha ringraziato medici e ricercatori che gli hanno permesso di essere lì, sul palco dell’Ariston, come altri hanno fatto per Emma Marrone, operata giovanissima di tumore al seno e alle ovaie, oggi in splendida forma tra i concorrenti con la sua “Apnea” dedicata al padre, mancato invece l’anno scorso di leucemia. Perché puoi essere coraggioso o terrorizzato, con un carattere forte o emotivamente fragile, ma, se hai un cancro, il tuo destino dipende in parte dalla fortuna, e in parte, anzi, molto, dalle cure che hai a disposizione.
Da Vittorio Emanuele a una pseudomedicina
Ed è importante non rinunciarci come purtroppo hanno fatto molte persone, talvolta a costo della vita, rincorrendo cure alternative come la cosiddetta Nuova Medicina Germanica fondata da Ryke Geerd Hamer, di cui ho parlato questa settimana sui social.
L’ex medico tedesco, poi radiato dall’albo, era infatti il padre di Dirk Hamer, noto per essere stato ferito a morte da Vittorio Emanuele di Savoia, a sua volta mancato qualche giorno fa. Dopo la tragedia avvenuta presso l’Isola di Cavallo in Corsica, sia Hamer sia la moglie svilupparono un tumore, fatto che contribuì a convincerlo di un legame non occasionale tra il trauma e la malattia. Hamer estese questa idea alla genesi di tutti i tumori, sostenendo che, di conseguenza, la cura non dovesse puntare al cancro, ma alla risoluzione dei problemi psicologici che (secondo lui) ne erano stati causa.
La storia è ben spiegata da Ilario D’Amato in questo libro (link affiliato), “Dossier Hamer”, in cui riferisce che almeno 140 persone potrebbero aver perso la vita per aver seguito queste teorie.
Dalla parte degli obesi?
A soli 24 anni, è guarita da un linfoma anche un’altra protagonista del festival, Big Mama, all’anagrafe Marianna Mammone, di cui però si è parlato soprattutto per la “body positivity” con cui ha imparato a convivere con la sua obesità, ignorando o rispondendo a tono alle immancabili battute. Ed è paradossale che proprio dopo aver portato a Sanremo un brano contro “body shaming” e bullismo la ragazza abbia dovuto subire un tweet offensivo da parte di un giornalista RAI, nei confronti del quale è stato subito aperto un provvedimento disciplinare, e abbia dovuto difendersi da Striscia la notizia, che l’ha paragonata a Ursula della Sirenetta.
Lo ha fatto con orgoglio, in un’intervista a La Stampa: "Il meme su Ursula della Sirenetta? Fa male, ma lei è iconica come lo sono io. Voi no".
Avevo intenzione in questa puntata di approfondire proprio il tema dell’obesità e dello stigma legato a questa condizione, che l’Organizzazione mondiale della sanità definisce una malattia cronica e che, come sapete, mi tocca in prima persona.
In questi giorni è infatti uscita su Nature un’interessante riflessione su come il giudizio nei confronti delle persone che ne soffrono non cessi dopo il ricorso alla chirurgia bariatrica, quella che aiuta a perdere peso. Per questo le due autrici dell’articolo temono che lo stesso si ripeta oggi con chi riesce a dimagrire grazie ai nuovi farmaci detti “agonisti GLP-1”, nati come antidiabetici e poi rivelatisi molto utili contro l’obesità.
Ne ho già parlato e scritto, anche su Repubblica, e sono stata giustamente rimproverata per averli talvolta descritti come una scorciatoia, un modo per perdere peso “senza sforzo”, come se gli effetti indesiderati di questi prodotti non fossero comunque difficili da sopportare.
Ma, indipendentemente da questo, mi spiace essere considerata tra chi si identifica nel principio “no pain no gain”. Non ho in alcun modo il culto del sacrificio, ma soprattutto rifiuto l’idea che obesità e sani stili di vita rientrino una dimensione etica. Della serie, se sei grassa o grasso è colpa tua; significa che sei pigro e non hai la forza di volontà per adottare stili di vita più sani.
Questo approccio non può che essere controproducente, e figuratevi se io, nella mia situazione, lo posso condividere. Ma ciò non significa nemmeno che l’obesità sia qualcosa che capita solo per sfiga e contro cui non ci sia altro da fare che ricorrere alle medicine.
L’argomento è però davvero troppo complesso per infilarlo in coda a questo numero straordinario su Sanremo. Vi prometto di tornarci presto. Se volete, potete intanto riascoltare le mie storie al riguardo salvate sul mio profilo Instagram. Sono di giugno 2021, proprio dei giorni in cui FDA ha autorizzato semaglutide anche per il trattamento dell’obesità. È passato molto tempo per cui dovete scorrere per un po’ verso destra, ma le trovate sotto il nome di “Disease mongering” e “Obesity outing”. Vi consiglio di ascoltarle in questo ordine.
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A proposito…
A proposito di obesità, se vi trovate a discutere con familiari e amici se sia il caso di ordinare la pizza da mangiare davanti alla finale di Sanremo di stasera, potete trovare argomenti qui, tra le tante schede di Dottore, ma è vero che, di FNOMCeO.
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La scorsa settimana sono emersi tanti altri argomenti importanti:
Ad Ancona è morta di pertosse una neonata i cui genitori non sapevano della vaccinazione in gravidanza. Ho raccolto un po’ di vostre testimonianze, ci tornerò.
Il mio profilo Instagram è andato quasi in tilt dopo che Fedez (grazie!) ha ricondiviso una mia storia sulla carenza di Creon, gli enzimi pancreatici necessari a chi come lui è stato operato al pancreas, ma anche a chi soffre di pancreatite cronica, fibrosi cistica o altre malattie. Come già vi accennavo, la questione non è limitata a questo prodotto, ma è una difficoltà che riguarda molti tipi di medicinali, che si trascina da molti anni, da prima della pandemia, ed è stata aggravata nell’ultimo periodo da una serie di situazioni di ogni tipo, da covid alla crisi climatica a quella geopolitica.
Ho quindi ripreso l’argomento su Univadis, ma anche nella diretta Instagram in cui ho commentato la riforma di AIFA insieme ad Antonio Addis, esperto di farmacoepidemiologia del Dipartimento di prevenzione della Regione Lazio: sembra una questione tecnica, mentre ci riguarda tutti da vicino, perché da questa agenzia dipende la sicurezza delle medicine che ci vengono prescritte, ma in parte anche la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.
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Infine, un invito. Se ti va, mandami pure le tue domande: cercherò di rispondere, se di mia competenza.
Intanto ti auguro un musicalissimo weekend!
Complimenti e grazie. Un abbraccio