#8 FARMACI PER DIMAGRIRE, che cosa ne sappiamo
Da Saxenda a Zepbound, passando per il blockbuster Ozempic, i nuovi medicinali non sono una bacchetta magica, ma nemmeno "il Male". Facciamo chiarezza
Nel suo monologo di apertura della serata dei premi Oscar dell’anno scorso, il comico e presentatore Jimmy Kimmel scherzò complimentandosi con i presenti per il loro splendido aspetto e chiedendosi se forse Ozempic non facesse anche per lui. In quei mesi, infatti, si parlava dell’antidiabetico semaglutide (di cui Ozempic è il nome commerciale) soprattutto per l’uso improprio che molti vip ne facevano per inseguire modelli estetici estremi, promuovendone l’utilizzo anche sui social media, al di fuori delle indicazioni mediche previste.
Il boom di richieste anche da parte di chi non aveva problemi di salute aveva paradossalmente colto impreparata Novo Nordisk, l’azienda danese che produce il medicinale, che per molti mesi non riuscì a fornire ai vari paesi tutte le dosi richieste. Questa ondata anomala di domanda mise in difficoltà però soprattutto i pazienti diabetici che ne trovavano a un tratto le farmacie sguarnite.
L’uso inappropriato di questi farmaci continua oggi: in tutto il mondo si segnalano medici che li prescrivono in mancanza di una indicazione medica, palestre, spa e centri estetici che procurano per i loro clienti ricette o farmaci talvolta contraffatti. In questo caso, il rischio di iniettarsi sostanze di origine incerte è molto elevato.
Al di là di questo utilizzo improprio, Ozempic, e in generale i farmaci detti “agonisti del GLP-1”, rappresentano una vera svolta nella cura dell’obesità, tanto che la rivista Science li ha nominati “Innovazione dell’anno 2023”. In copertina una forchetta si inserisce su uno dei device, detti “penne”, con cui si somministrano sottocute, come si fa per l’insulina.
Illustration: Stephan Schmitz/Folioart
Per chi e per cosa sono autorizzati questi farmaci?
Oggi, l’uso di questi medicinali per dimagrire non è più “off label”, cioè al di fuori delle indicazioni autorizzate. Le agenzie regolatorie riconoscono la loro utilità per perdere peso e, da pochi giorni, la Food and Drug Administration statunitense ha autorizzato l’uso di semaglutide anche per ridurre il rischio di infarti e ictus. Sempre e soltanto, comunque, in persone con obesità, cioè con un indice di massa corporea (con un acronimo inglese, BMI) pari o superiore a 30. Oppure anche in chi ha un forte sovrappeso (BMI tra 27 e 29,9), ma anche altri fattori di rischio, come per esempio diabete, apnee notturne o valori elevati di colesterolo o pressione arteriosa. Il tutto sempre in associazione a una dieta ipocalorica e a un aumento dell’attività fisica. Il loro utilizzo continua a essere “off label” per tutti gli altri.
La necessità di un cambiamento delle abitudini alimentari e, ancora di più, l’abitudine a un maggiore esercizio fisico sono parte integrante dell’intervento che ha prodotto il dimagrimento negli studi clinici e sono indispensabili soprattutto per mantenere nel tempo la perdita di peso, che altrimenti, una volta smesso il farmaco, tende a tornare al punto di partenza. L’iniezione NON LI SOSTITUISCE. Il foglietto illustrativo non prevede un limite di tempo alla durata del trattamento - come se una persona dovesse continuare a prenderlo per tutta la vita -, ma di fatto molti interrompono la cura perché non tollerano più i suoi effetti collaterali, non vogliono essere schiavi dell’iniezione settimanale o, più semplicemente, perché non se la possono più permettere.
Molti interrompono la cura perché non tollerano più i suoi effetti collaterali, non vogliono essere schiavi dell’iniezione settimanale o, più semplicemente, perché non se la possono più permettere
Che cosa fanno questi farmaci al nostro organismo?
Fino a poco tempo fa si pensava che l’azione di questi farmaci consistesse essenzialmente nel rallentare lo svuotamento gastrico, conferendo così un senso di sazietà che scoraggiava un’eccessiva assunzione di cibo. Nel tempo stanno però emergendo nuove prove di altri meccanismi di azione, che coinvolgono anche il sistema nervoso centrale. Vari studi - molti dei quali, va detto, finanziati dalle aziende produttrici – suggeriscono quindi possibili altri vantaggi per la salute: per esempio un calo del livello di infiammazione dell’organismo, con molte ricadute di vario tipo, un minor rischio di malattia di Alzheimer o di Parkinson, un contrasto alla depressione o alle malattie di fegato (smentita qui) e reni. Qualcuno dice che potrebbero curare anche la dipendenza da oppiacei, alcol o fumo. Stiamo a vedere.
Per ora si tratta di ipotesi, ma è chiaro che più ampio è il campo di intervento, maggiore è anche il rischio di effetti indesiderati a medio e lungo termine. Per il momento, chi li prende è disturbato soprattutto da nausea, vomito, mal di stomaco, stitichezza o diarrea. Meno frequenti sono vertigini, mal di testa e leggere tachicardie. Per sicurezza, sono a oggi controindicati in gravidanza e allattamento, ma anche in chi ha una storia personale o familiare di neoplasia endocrina multipla, di tumore midollare della tiroide o di pancreatite.
La perdita di peso, poi, non riguarda solo la massa grassa, ma si estende a quella muscolare, con un effetto (sarcopenia) che potrebbe essere pericoloso soprattutto nelle persone più avanti con gli anni, ma che si può manifestare già dalla mezza età.
E poi, una volta raggiunto il peso forma, come scalare il prodotto senza recuperare peso?
Quanto (e quanti) fanno dimagrire?
Dopo una serie di fallimenti nella ricerca di farmaci che aiutassero le persone a dimagrire, l’efficacia di questi prodotti ha superato ogni previsione, ma ciò non significa che siano una bacchetta magica che ci riporta in un attimo al peso forma.
La perdita di peso, in genere stimata dopo un anno circa di trattamento, è sempre espressa in percentuale del peso iniziale: per un uomo alto 1,75 m che pesa 120 chili un calo del 15% significa scendere di 18 chili. Un alleggerimento che significa molto in termini di salute e può innescare un circolo virtuoso facilitando una maggiore attività fisica e abituando a mangiare meno, ma che non è risolutivo. Una donna alta 1,58 che ne pesa 90, con lo stesso calo può arrivare a 76,5kg, restando comunque, seppure per poco, nel range dell’obesità.
Non bisogna poi dimenticare che l’efficacia di questi prodotti espressi in percentuale (per i più nuovi si arriva a sfiorare un calo del 25% rispetto al peso iniziale) non si ottiene in tutti alla stessa maniera, ma è estremamente variabile a livello individuale. Con i prodotti approvati finora c’è sempre una parte di pazienti – circa uno su dieci - che non riesce a dimagrire nemmeno con questo aiuto (forse anche perché ognuno ingrassa per ragioni e modalità sue, e su questo torneremo).
Il dimagrimento poi non va considerato in assoluto, ma sempre confrontato con quello che si può ottenere con altri tipi di intervento (nutrizionale e fisico) prolungati per un anno: mettendo insieme i vari studi su semaglutide, per esempio, il vantaggio effettivo rispetto al placebo è inferiore al 12% di perdita di peso.
Aziende in gara
I primi ad accorgersi di quanto questi medicinali, nati per il controllo della glicemia, funzionassero per dimagrire, sono stati i ricercatori di Novo Nordisk, azienda danese con una lunga tradizione ed esperienza nel trattamento del diabete. Durante la sperimentazione di liraglutide (Saxenda) sui pazienti con diabete di tipo 2, che spesso sono anche sovrappeso o obesi, si accorsero che la cura, oltre a far scendere la glicemia, li faceva anche calare di peso. Ricerche successive confermarono questi risultati in persone con obesità, anche senza diabete. Sulla cura aleggiava però il sospetto di indurre pensieri suicidari e di favorire pancreatiti e tumori midollari della tiroide. Inoltre, il farmaco richiede una puntura quotidiana, a cui poche persone senza diabete sono disposte a sottoporsi.
La stessa azienda quindi mise a punto semaglutide (Ozempic), che si può fare una sola volta a settimana, è più efficace e ha un miglior profilo di sicurezza. Si è così scatenata così la moda, soprattutto su Tik Tok, ben prima che la Food and Drug Administration (FDA) americana e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) lo autorizzassero anche per la gestione del peso corporeo, oltre che per il diabete, in un dosaggio appropriato allo scopo, con il nome commerciale di Wegovy. A questo si affianca la formulazione in compresse da prendere per bocca (Rybelsius), che tuttavia è meno efficace e dà più fastidio allo stomaco.
Il successo clinico e commerciale di questo approccio a obesità e sovrappeso ha intanto innescato una vivace competizione tra le aziende. Obiettivo è cercare di eguagliare o superare il clamoroso colpo di fortuna ottenuto da Novo Nordisk, cui si attribuisce il merito della mancata recessione della Danimarca nel 2023 e un’ulteriore crescita del PIL nel 2024. E che oggi, con la sua crescita vorticosa, che si teme possa addirittura creare una distorsione nell’economia danese, si dice essere valutata più di Tesla (oltre al danno la beffa per Elon Musk, fan di Ozempic) e aver superato il gruppo del lusso LVMH come azienda europea di maggior valore.
Alla rincorsa è quindi subito partita una grande azienda statunitense, Eli Lilly, che ha messo a punto e ottenuto l’autorizzazione di un’altra molecola, chiamata tirzepatide, con il nome commerciale di Mounjaro al dosaggio per il diabete e Zepbound per perdere peso. In previsione dell’approvazione di Zepbound da parte di FDA, le azioni di Eli Lilly sono schizzate in alto del 67%, rendendola l’azienda sanitaria di maggior valore quotata in Borsa a livello mondiale.
Si prevede che questo mercato nei prossimi dieci anni supererà i 100 miliardi di dollari
Il nuovo farmaco sembra infatti ancora più efficace di semaglutide, con cui un terzo dei partecipanti ai trial clinici ha perso in circa un anno fino al 20% del suo peso iniziale, mentre lo stesso risultato è stato ottenuto con tirzepatide in più della metà dei soggetti coinvolti. Non in tutti, sottolineo.
Al Congresso europeo dell’obesità che si terrà a maggio a Venezia verranno presentati nuovi dati, sempre da studi sponsorizzati da Eli Lilly, che confermano una perdita di peso significativa e accompagnata da una riduzione del girovita, indipendentemente dal livello di sovrappeso o obesità dei pazienti e dalla durata di questa condizione prima dell’inizio della cura.
Ma l’azienda americana ancora non si accontenta, e si prepara a lanciare retatrutide, che sembra avere un’efficacia senza precedenti, ancora superiore alle altre, forse perché agisce su tre recettori, contro i due di tirzepatide e l’unico di semaglutide e orforglipron, una compressa da prendere tutti i giorni che dovrebbe essere più semplice da produrre e quindi, auspicabilmente, anche meno cara.
Mentre Novo Nordisk ed Eli Lilly investono in nuovi impianti per garantire le forniture richieste, in corsa entrano anche altri colossi farmaceutici, come Pfizer e Boehringer Ingelheim, che sperano di riuscire a conquistarsi una fetta di questo mercato che nei prossimi dieci anni si prevede supererà i 100 miliardi di dollari: c’è da sperare che questa serrata competizione porti a migliore qualità e, soprattutto, abbassi i prezzi.
Veniamo ai soldi
Il costo di queste cure, sempre ovviamente in relazione al loro beneficio, è uno dei punti fondamentali di cui discutere. Da un lato infatti l’obesità colpisce già prevalentemente in ogni contesto le fasce di popolazione più disagiate, che in paesi privi di un Servizio sanitario nazionale rischiano di non poter accedere a questi farmaci, aggravando così le diseguaglianze che a loro volta sono un importante determinante di salute. Dall’altro, in un’epoca in cui tutti i sistemi sanitari anche dei paesi più ricchi, comunque siano impostati, soffrono di un aumento della domanda dovuto a un invecchiamento della popolazione, di una crescita stratosferica dei costi per l’introduzione di terapie innovative e di una drammatica carenza di personale, non si può prescindere da una ragionata allocazione delle risorse.
Non c’è dubbio che l’obesità (e si parla di obesità, non di taglie 44) abbia un costo importante in termini di salute pubblica, come fattore di rischio per mortalità ma anche per una serie di altre malattie, dall’artrosi al cancro, che anche quando non letali producono vari gradi di disabilità. Ciò si traduce anche in un altrettanto importante corrispettivo economico, che negli Stati uniti è stato calcolato in quasi 173 miliardi di dollari per gli adulti e 1,32 per i bambini. In Europa, e in Italia, il carico come si sa è molto inferiore, ma ne parleremo quando una delle prossime settimane tratteremo il tema dell’obesità.
Qui parliamo del costo di questi farmaci, che è ancora proibitivo per la maggior parte della popolazione e dei sistemi sanitari, anche restringendone l’uso alle sole persone con una franca obesità, che nel mondo secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, nel 2022 erano quasi 900 milioni di adulti e 160 milioni di minori.
Un mercato sconfinato, anche considerando solo i paesi in cui è pensabile che il costo di questi farmaci possa essere sostenibile per gli individui o per i sistemi sanitari: negli Stati Uniti, nel 2017, era obeso quasi il 42% degli adulti, circa 100 milioni con un trend in netta salita dal 30% di inizio secolo. Le forme più gravi, nello stesso periodo, sono passate dal 4,7 al 9,2%. Tra bambini e adolescenti, si sfiora già il 20% di piccoli obesi, pari a quasi 15 milioni sotto i 18 anni.
Le costosissime cure contro il cancro vengono prese per brevi periodi da gruppi molto selezionati di pazienti. Nessuno potrebbe garantire a milioni e milioni di cittadini (eventualmente per tutta la vita) un prodotto come Wegovy che a prezzo di listino oggi può costare fino a 2.000 euro al mese. I prodotti più nuovi si dice scendano verso i 1.000, sempre al mese, ed è possibile che si ottengano ulteriori sconti, ma l’ampiezza della popolazione interessata richiederà comunque un’attenta valutazione per capire se sia questo il modo migliore per affrontare le conseguenze sociali e sanitarie di quella che viene definita da qualcuno una pandemia di obesità.
Anche perché al costo dei farmaci vanno aggiunti quelli del personale medico che segue questi pazienti e li aiuta a gestire gli effetti collaterali. Cosa che Tik Tok pare non faccia in maniera adeguata.
Di obesità tornerò comunque a parlare presto, trattando di temi come grassofobia e stigma, e più in generale della narrazione su questo tema, che non avevo spazio di affrontare qua.
E ora, qualche aggiornamento:
Se vi ha interessato la scorsa puntata sul virus respiratorio sinciziale, in questo articolo dedicato ai medici su Univadis ne ho approfondito gli aspetti economici.
Tornando invece su ADHD, di cui ho scritto un po’ di tempo fa per Repubblica, da JAMA viene una conferma di quanto sia importante trattare questa condizione una volta diagnosticata: i farmaci possono salvare la vita perché riducono il rischio soprattutto di morti non naturali.
Ieri era la Giornata Internazionale per la consapevolezza su Long Covid: c’è ancora tanto da fare e anche su questo tema, ormai messo in dimenticatoio, vorrei tornare. Ecco intanto il link alla mappa dei centri riconosciuti dall’Istituto Superiore di sanità.
Si continua a parlare moltissimo di fentanyl, di cui voi sapete già tutto da qui. Le autorità sanitarie fanno benissimo a farsi trovare preparate, ma ciò non significa che ci sia un’emergenza in Italia, né in Europa!
Parte il tour di presentazione del mio Controglossario di Medicina, un’occasione per parlarne, ma anche per incontrarvi. Ieri a Siena è andata così.
I prossimi appuntamenti sono:
- 21 marzo h18 Verona libreria Feltrinelli con Riccardo Poli di Off Topic (Radio 24)
- 22 marzo h18 Padova libreria Feltrinelli con Giacomo Mauretto (Entropy for life)
- 4 aprile h18 Bergamo libreria Ubik con Guido Marinoni, presidente dell'ordine dei medici di Bergamo
- 9 aprile h18.30 Milano libreria Centofiori con Luca Misculin del Post e il contributo di Teresa Cardona
SPERO DI VEDERVI!
Intanto vi auguro uno spumeggiante weekend!