#9 Una NUOVA PANDEMIA in arrivo?
Le recenti dichiarazioni di Ilaria Capua sulla necessità di stare pronti hanno scatenato una reazione che a sua volta mi ha lasciato di sasso: ma davvero non è ancora un concetto acquisito?!?
Questa newsletter uscirà in formato ridotto perché - per una volta che mi ero portata avanti con un altro argomento - l’attualità mi costringe a riscriverla da capo. Lo faccio oggi pomeriggio (venerdì), al tavolino di un bar di Padova dove aspetto di andare a presentare il “Controglossario di medicina” con Giacomo Moro Mauretto, meglio conosciuto sui social media come Entropy for life. L’evento di ieri alla libreria Feltrinelli di Verona con Riccardo Poli, uno dei conduttori del programma Off Topic su Radio 24, è andato bene, così come quello di Siena la scorsa settimana, per cui incrocio le dita che anche oggi non vogliate lasciarmi sola, davanti a una fila di sedie vuote 😉*.
*PS Sala piena e partecipe anche a Padova: grazie!
Ma veniamo alla “nuova pandemia”. Che cosa ha detto nei giorni scorsi Ilaria Capua, una delle più grandi esperte di pandemie al mondo, oggi senior fellow presso la Johns Hopkins University di Bologna? Niente più di quello che si ripete da vent’anni, e ancora di più dopo il 2018, quando l’Organizzazione mondiale della sanità coniò il termine “malattia X”. Con questa espressione si decise allora di indicare il nome di una infezione ancora sconosciuta, ma di cui occorre tenere conto nell’elenco di possibili emergenze future su cui è prioritario investire in ricerca e sviluppo.
Non so come sia passata l’idea che con covid-19, abbiamo pagato il nostro pegno - chissà a chi, poi, al pianeta, forse? -e che, a parità di condizioni, questa evenienza non si possa ripetere.
La recente pandemia ha già realizzato quelle previsioni, proprio con l’improvvisa comparsa di una malattia provocata da un virus che era sconosciuto fino alla fine di dicembre del 2019. Ma non so come si sia diffusa l’idea che, avendo sofferto tanto per covid-19, abbiamo in qualche modo pagato il nostro pegno - chissà a chi, poi, al pianeta, forse? -e che questa evenienza non si possa ripetere.
Rispetto al 2018 non abbiamo neutralizzato la minaccia di una malattia X, né abbiamo eliminato le condizioni perché ciò si possa verificare di nuovo: crisi climatica, deforestazioni, contatti con gli animali selvatici, allevamenti intensivi, scarsa sorveglianza epidemiologica, virologica e genomica, crescenti scambi di persone e di merci, e così via. La pandemia da covid-19 ci ha solo dato una dimostrazione pratica di che cosa si intendesse con l’allerta rimasta fino ad allora inascoltata. E oggi siamo di nuovo a quel punto.
Non c’è un allarme pandemia ADESSO, ma dovremmo aver capito che occorre prepararsi PRIMA dell’emergenza, non quando il pericolo diventa realtà.
Nel 2011, Kate Winslet, nei panni di un’epidemiologa dei CDC di Atlanta, spiegava R0 - concetto allora ignoto ai più - all’interno del film Contagion, di Steven Soderbergh
Capisco di non rendermi simpatica e di non facilitarti il risveglio del sabato mattina e l’umore del weekend appena iniziato, mentre scopriamo che anche Kate ha il cancro e, soprattutto, mentre la situazione internazionale si fa sempre più preoccupante. Ma così è, e non posso farci niente.
Ricapitoliamo le possibili minacce
Molti sono in ansia per la dengue, una malattia esotica, che come tale fa paura. E che effettivamente si sta diffondendo, Nel 2023 c’è stata un’ottantina di casi in persone che l’hanno contratta in Italia. Un record, in Europa, ed è probabile che – soprattutto a causa dei cambiamenti climatici - questa malattia, un tempo esclusiva delle zone tropicali e subtropicali, si diffonderà sempre di più anche alle nostre latitudini, ma siamo lontanissimi dai numeri di MILIONI di casi registrati in queste settimane in Sud America. In ogni caso, è molto improbabile che sia la dengue a provocare la prossima pandemia. L’infezione si trasmette tra le persone solo tramite la puntura di una zanzara: nei paesi tropicali e subtropicali Aedes aegypti, la stessa di febbre gialla e chikungunya; in Italia, Aedes albopticus, meglio nota come zanzara tigre. Interrompere la trasmissione quindi non è difficile, soprattutto nei paesi più avanzati, dove possiamo applicare trattamenti disinfestanti nelle zone umide e nei giardini privati, evitare il ristagno di acqua, usare repellenti e zanzariere.
Non sono, allo stato attuale delle cose, candidati a scatenare una pandemia nemmeno altri virus comparsi nel secolo scorso come Ebola, Marburg, Lassa o Nipah. Per quanto spaventosi per l’alto tasso di letalità a cui si associano, non hanno dimostrato a oggi una grande capacità di trasmissione tra le persone e possono essere facilmente contenuti: difficilmente, a meno di nuove mutazioni, potranno rappresentare una minaccia per il mondo intero. Bastano basilari norme igieniche per evitarlo. Così come forse si sarebbe potuto evitare che l’AIDS devastasse intere nazioni se un’informazione trasparente e non stigmatizzante avesse spiegato come l’infezione da HIV si poteva trasmettere anche attraverso rapporti eterosessuali e quanto l’uso del preservativo potesse ridurre questo rischio.
Le malattie che con maggiore facilità potranno provocare una nuova pandemia sono invece quelle a trasmissione respiratoria. In pole position abbiamo l’influenza, che fino a poco tempo fa era considerato sostanzialmente l’unico virus in grado di ricombinarsi in maniera così radicale da cogliere l’intera popolazione mondiale senza difese immunitarie specifiche, e quindi provocare pandemie. Dai tempi della Spagnola (1918-1919), rimossa come stiamo facendo con covid-19, ce ne sono state altre, sebbene nessuna con un carico di morti equivalente a quella. Ma nessuno può prevedere che in qualche zona remota della Cina o in un allevamento intensivo altrove non si siano già rimescolati tra loro virus influenzali dei polli con virus influenzali dei maiali o umani, producendo, come in una slot machine, una nuova combinazione a oggi sconosciuta e capace di trasmettersi agevolmente tra gli esseri umani.
Tra i virus influenzali già esistenti, il sorvegliato speciale è H5N1, il virus responsabile dell’influenza aviaria, che nel 2004, in seguito a una mutazione, acquisì un’altissima patogenicità, diventando capace di sterminare il 100% dei polli che infettava. Dal sud-est asiatico si diffuse nel resto dell’Asia, contagiando uccelli acquatici, selvatici e altri animali da cortile.
Un primo salto avvenne quando raggiunse gli uccelli migratori, e con questi si diffuse in tutto il mondo. Un secondo passo in avanti si verificò in Olanda nel 2020. Mentre il mondo aveva altro a cui pensare, il virus H5N1 diede origine alla variante 2.3.4.4b, che ha inferto al rischio rappresentato dall’influenza aviaria un’accelerazione incredibile: il virus mutato è dilagato in tutto il mondo, uccidendo centinaia di milioni di polli, mettendo in ginocchio l’industria avicola e provocando in alcuni paesi anglosassoni un’impennata del prezzo delle uova, che in alcuni periodi è stato anche difficile trovare. Nelle ultime settimane, il virus ha superato gli ultimi confini, raggiungendo gli uccelli delle isole Galapagos e le colonie di pinguini dell’Antartide, per la cui sopravvivenza gli esperti stanno col fiato sospeso.
Vabbè, dirà qualcuno di voi, spiace per i pinguini, ma noi che cosa c’entriamo? Obiezione un po’ sciocca, perché ormai dovremmo aver imparato che la salute è UNA, e “One Health” comprende la salute degli ambienti naturali, delle piante, degli animali, tra cui c’è anche Homo sapiens. C’entriamo quindi anche noi, perché la variante mutata nel 2020 ha anche acquisito una straordinaria capacità di passare ai mammiferi, quelli marini, come le centinaia di foche e otarie uccise sulle coste americane, ma anche terrestri, come è capitato in un allevamento di visoni in Spagna.
Per ora i casi di malattia umana riconducibili a questa variante (non a quella del sud est asiatico che comunque ogni tanto fa le sue vittime) sono pochissimi e non ne è stata ancora dimostrata la capacità di trasmettersi tra le persone. Non sappiamo nemmeno, se imparasse a farlo, quale sarebbe la sua letalità. Possiamo però dire che l’H5N1 “tradizionale”, nei rari casi in cui, soprattutto in condizioni igieniche molto critiche, è riuscita a fare spillover e saltare agli esseri umani, ha mostrato una letalità del 50% circa. Sì, avete capito bene: uccide la metà delle persone infettate. Se pensate che, quando è arrivato, trovandoci senza difese immunitarie, SARS-CoV-2 era fatale in un caso su 100, è facile capire che, se si scatenasse una pandemia di questo tipo – ferme restando mille altre possibili varianti- potrebbe essere incomparabilmente peggiore dell’incubo che stiamo superando. Insomma, una bomba innescata, che potrebbe non esplodere mai, come ci auguriamo, ma che non si può ignorare.
Ci sono poi i batteri resistenti agli antibiotici. Oggi è TB Day, la Giornata mondiale contro la tubercolosi, e nel pomeriggio sarà a un convegno a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, dove discuterò di comunicazione della salute, tra gli altri, con la giornalista televisiva Tiziana Ferrario. Chi sa che la tubercolosi, prima di covid, era la malattia infettiva che ogni anno faceva più vittime al mondo? E che non riguarda solo i più derelitti, nei paesi più poveri del mondo, ma esiste anche qui, e può arrivare a infettare chiunque? Tra i vari batteri resistenti ai farmaci che minacciano i più vulnerabili c’è anche un terrificante Mycobacterium tubercolosis resistente a qualunque medicina, anche a quelle che di solito non si danno per la loro tossicità. Se si diffondesse, in assenza a tutt’oggi di un vaccino efficace, sarebbe davvero una catastrofe. Ma perché non abbiamo un vaccino che funzioni davvero? Difficile dirlo, ma non c’è dubbio che le malattie percepite come problemi che riguardano soprattutto i paesi più poveri ricevono minore attenzione, e infatti sono chiamate (ufficialmente) “malattie neglette”.
Ma alla fine, la vera malattia X si chiama X proprio perché non ha un nome e cognome. Potrebbe essere provocata da un nuovo virus influenzale, da un altro coronavirus o da qualunque altro agente infettivo che oggi non riusciamo a immaginare. Solo tra i virus ancora ignoti che si stima si trovino nel bacino animale si calcola che un numero variabile tra 631.000 e 827.000 specie avrebbe il potenziale per attaccare gli esseri umani.
A oggi, NESSUNO PUÒ DIRE SE LA PROSSIMA SARÀ PIÙ O MENO GRAVE DI COVID-19, come la Spagnola o come la “suina” del 2009. E in ogni caso, nemmeno la prossima sarà l’ultima, ecco perché è fondamentale essere pronti, a livello globale, nazionale, locale e, vorrei aggiungere, personale.
E quindi, che si fa?
Se se ne parla, non è per spaventare o raccattare click, ma perché si faccia tesoro delle lezioni imparate con covid-19 e non ci si faccia trovare di nuovo impreparati. Il pensiero subito corre ai sistemi sanitari, usciti dalla pandemia ancora più indeboliti, con un numero di medici e infermieri in caduta libera. Per questo i posti letto e i ventilatori in più che abbiamo nelle nostre terapie intensive rispetto al 2019 potrebbero essere inutili in mancanza di personale. Laboratori e aziende hanno messo a punto piattaforme che un domani potrebbero permetterci di avere più rapidamente (l’obiettivo è in 100 giorni) un nuovo vaccino, ma anche questo servirà a poco se la gente non lo vorrà perché una certa disinformazione l’avrà convinta che quello contro covid-19 è stato un “siero killer”, nonostante le decine di milioni di vite che ha salvato. E via così, con mille problemi tutt’altro che risolti.
Come cittadini possiamo fare poco, se non essere consapevoli di questa realtà. Cosa che però conta, perché i decisori, rincorrendo il consenso, rischiano di trascurare i temi che il pubblico vuole rimuovere e rincorrere quelli che portano loro voti, indipendentemente dalla loro reale importanza.
Come spiegare altrimenti la dichiarazione del ministro della salute Orazio Schillaci, in accordo con il suo sottosegretario Marcello Gemmato, secondo cui si vuole negare l’adesione alla possibilità di un green pass digitale globale, che semplificherebbe il movimento internazionale delle persone nel corso della prossima pandemia?
Proprio in questi giorni i delegati di tutti i paesi dell’Organizzazione mondiale della sanità stanno infatti discutendo della nuova bozza di Trattato pandemico che si vorrebbe approvare in occasione dell’assemblea generale di fine maggio.
Il documento prevede una stretta sorveglianza degli agenti infettivi e dei contesti in cui potrebbero verificarsi nuovi spillover o incidenti di laboratorio, un potenziamento della lotta alle antibioticoresistenze, un rinforzamento dei sistemi sanitari e dell’accesso alle cure, ma soprattutto un impegno a fare il possibile per ridurre le diseguaglianze e le ingiustizie che hanno caratterizzato la gestione della pandemia da covid-19.
I negoziati - anche questi - sono in corso. Incrociamo le dita.
Di questi temi ho scritto spesso, anche recentemente: oltre ai link inseriti nel testo sopra, vi consiglio l’articolo sul trattato pandemico su Univadis e quello sulla malattia x già pubblicato su Dottore ma è vero che. Un altro sulla dengue è in uscita nei prossimi giorni sempre su quest’ultimo sito, che può essere una vera e propria bussola nel mare di informazione e disinformazione sulla salute in cui annaspiamo.
L’immagine della slot machine mi ha ricordato un post che la scorsa settimana ha suscitato molto dibattito, su Facebook come su Instagram. Guardando “Affari tuoi”, mi sono indignata, e lasciatemi scrivere “indiggnnniata” per l’ennesima volta per un programma che non è tecnicamente gioco d’azzardo, ma coltiva OGNI SERA, sulla rete ammiraglia della televisione pubblica pagata con le tasse di tutti, la mentalità che porta milioni di italiani (secondo l’Istituto superiore di sanità erano un milione e mezzo nel 2018) a sviluppare una ludopatia, che non di rado porta gravi conseguenze anche alle persone vicine al giocatore e all’intera società.
Ti saluto mentre arrivano notizie sempre più inquietanti da Gaza, dall’Ucraina, da Hong Kong e, proprio all’ultimo, anche da Mosca. Il tutto mentre i nostri amici climatologi non sanno più come attirare l’attenzione sulla rapidità con cui anche la crisi climatica sta anticipando le peggiori previsioni. La nostra mente è sollecitata da mille campanelli di allarme, molti dei quali, purtroppo, tutt’altro che infondati.
Cerchiamo però di mantenere la calma, e non permettere all’emotività e alla paura di avere il sopravvento, senza cadere d’altra parte nella negazione e nella superficialità. Non è un momento facile, ma abbiamo gli strumenti per gestirlo, tenendo ben saldo il timone della razionalità.
Con l’augurio, nonostante tutto, di un sereno weekend, ti abbraccio
Dobbiamo soprattutto eleggere candidati/e giovani e preparati/e alle elezioni europee e non giornaliste ultrasettantenni che hanno già goduto di un discreto benessere e dovrebbero vivere serenamente la pensione (penso ad Annunziata), certamente continuando a scrivere articoli sui giornali.
Non prendiamo con superficialità le elezioni europee.Andiamo e votiamo con discernimento,anche turandoci il naso,ma spostando questa deriva,pensiamo al futuro di figli e nipoti