#7 RSV, bronchioliti e altre notizie da togliere il fiato
Per prevenire l'infezione abbiamo oggi due possibilità: vaccinare le madri o proteggere i neonati con un anticorpo monoclonale.
La parola “bronchiolite” mi ricorda lunghe notti con Nicolò in braccio che respirava male e non riusciva a prendere sonno. Figuratevi io. Lui, però, alla fine ci ha preso gusto, tanto che da allora, per un paio di anni, non ha più voluto dormire nel suo lettino, ma solo sulla mia spalla, a patto però che non mi sdraiassi, ma restassi seduta sul divano.
A molti altri genitori è andata peggio, con corse in pronto soccorso, ricoveri in ospedale, addirittura giorni fuori dalle terapie intensive neonatali dove i piccoli con le più gravi infezioni da virus respiratorio sinciziale, in sigla RSV, devono spesso essere intubati. Il 97% dei decessi legati all’infezione nei bambini di qualunque età si registra infatti nei paesi a medio e basso reddito, dove queste cure di supporto non sono disponibili. Da noi, si stima che il 70% dei casi letali si verifichi in piccoli con altre malattie o fattori di rischio, per esempio una nascita prematura. Questi, tuttavia, sono una ristretta minoranza: i piccoli pazienti che durante la stagione fredda riempiono gli studi dei pediatri e gli ospedali per lo più, fino a pochi giorni prima, erano perfettamente sani. Qualcuno ricorderà per esempio quando anche la piccola Vittoria, figlia di Chiara Ferragni, è finita in ospedale per questa infezione.
Grosse novità in arrivo
Negli ultimi due anni si è parlato come mai prima di questo virus, e vi confesso che all’inizio guardavo a questa attenzione con un po’ di sospetto. Sapevo infatti che varie aziende stavano per lanciare sul mercato nuovi strumenti di prevenzione, e temevo quindi che fossero un po’ loro a gonfiare l’allarme per piazzare meglio farmaci e vaccini in arrivo. Invece, all’allentamento delle misure anti covid, si sono in effetti verificate davvero in tutto il mondo gravi epidemie infantili. Dopo che nella stagione 2020-2021, grazie a distanziamento, igiene e mascherine, il virus sembrava scomparso, a partire dalla fine della primavera del 2021 fino all’autunno, del tutto “fuori stagione”, pediatri, pronto soccorso, reparti ospedalieri e terapie intensive neonatali sono stati travolti da un’ondata di bronchioliti e polmoniti associate a RSV.
Secondo uno studio condotto in quattro ospedali e reparti pediatrici italiani da ottobre 2021 a marzo 2022, dipendeva da questo virus circa la metà dei ricoveri per cause respiratorie avvenuti in quel periodo. Il tutto si è ripetuto l’anno successivo, con una stagionalità più abituale, ma con numeri mai visti prima.
I virus non fanno mai bene
Non si trattava di “debito immunitario”, come lo intende qualcuno. Come ho spiegato su Dottore, ma è vero che, le infezioni virali non “allenano” il sistema immunitario dei più piccoli. Anzi, possono talvolta indebolirlo, per cui il bambino si riammala più spesso e, nel caso di RSV, può restare più predisposto alle bronchiti asmatiche.
Quasi tutti i bambini lo incontrano entro i primi due anni dalla nascita e più della metà nel primo anno. Quelli che gli sono scampati nel 2020-2021 grazie alle misure anti covid, lo hanno preso in un secondo tempo, insieme ai più piccoli nati dopo, raddoppiando così i numeri nei primi anni post pandemia.
Ma ci deve essere anche qualcos’altro, se ancora quest’inverno solo al Bambino Gesù di Roma hanno già avuto circa 300 ricoveri, come mi ha detto ieri sera a tavola Alberto Villani, past-president della Società Italiana di Pediatria. Per caso, partecipiamo oggi a Reggio Emilia allo stesso congresso di allergologia pediatrica, per cui ne ho approfittato per chiedergli un parere a cena, tra un piatto di ravioli e uno di bollito.
Un vaccino per la mamma
L’anno scorso sono stati autorizzati due vaccini anti RSV per gli over 60, uno di GSK (Arexvy) e uno di Pfizer (Abrysvo), che danno, come ogni vaccino, una “immunità attiva”, addestrando il sistema immunitario a riconoscere e a sviluppare una risposta specifica.
Abrysvo ha ottenuto però il via libera anche per la somministrazione in gravidanza, a tutela dei nascituri. Un po’ come per il vaccino contro la pertosse, l’obiettivo è di far produrre alla donna anticorpi specifici contro RSV, che passino al feto attraverso la placenta, dandogli un’“immunità passiva”, che conferisce una protezione immediata. In tal modo la neonata - o il neonato – avranno fin dalla nascita una barriera protettiva contro l’RSV, che rappresenta una minaccia tanto più grave quanto più precoce è l’infezione.
Per questo gli estranei non devono prendere in braccio o sbaciucchiare i neonati. Se tuo figlio o tua nuora sono rigorosi su questo punto, rispettali.
Gli anticorpi monoclonali
Lo stesso tipo di immunità passiva che si induce vaccinando la madre si può ottenere somministrando direttamente al neonato anticorpi monoclonali (cioè, tutti uguali, rivolti verso un unico bersaglio), prodotti in laboratorio e somministrati come medicinali.
Già da molti anni esiste un prodotto di questo tipo, palivizumab (Synagis). Si tratta di un’iniezione intramuscolo da fare una volta al mese, fino a un massimo di cinque volte, durante la stagione di maggior circolazione del virus, nei bambini più a rischio. Fino a oggi il trattamento è stato riservato ai nati prematuri (a 35 settimane di gestazione, o prima), che hanno meno di 6 mesi all’inizio dell’autunno, e in quelli con meno di 2 anni, ma alcune patologie gravi.
L’anno scorso, però, è stato autorizzato dalle agenzie regolatorie statunitense ed europea un nuovo anticorpo monoclonale capace di proteggere i piccoli più a lungo, con una sola iniezione che dura per tutta la stagione, in Italia da ottobre-novembre ad aprile-maggio, con un picco tra gennaio e febbraio: si chiama nirsevimab (Beyfortus), ed è stato sviluppato da Sanofi in collaborazione con Astrazeneca.
Le applicazioni sul campo
Una serie di studi scientifici, i più importanti dei quali pubblicati sul New England Journal of Medicine, ha convinto le autorità regolatorie della sicurezza e dell’efficacia del farmaco nel ridurre il numero di infezioni, i ricoveri in ospedale e quelli in terapia intensiva dovuti a virus respiratorio sinciziale, prima nei bambini pretermine, poi in quelli nati al termine della gravidanza. Un’altra ricerca che ha coinvolto bambini francesi, tedeschi e del Regno unito conferma il vantaggio del trattamento.
La profilassi universale con nirsevimab è stata inserita dallo scorso ottobre in USA e in Spagna, dove una prima valutazione conferma un crollo del 70% dei ricoveri legati a RSV.
Sulla scia di questi risultati la Società italiana di neonatologia ha inviato una lettera aperta al Ministero della salute e ad altre autorità nazionali e regionali per sollecitare l’adozione di una strategia di prevenzione universale per tutti i neonati. Basterebbe somministrare il farmaco in ospedale prima della dimissione dal reparto di maternità a tutti i bambini nati tra ottobre e marzo, mentre quelli nati tra aprile e settembre potrebbero riceverlo a ottobre dell’anno di nascita nei centri vaccinali o dal proprio pediatra.
Pro e contro della scelta
Dopo essere stata martedì scorso al Senato alla presentazione dell’Alleanza di società scientifiche, istituzioni e associazioni che portano avanti questa iniziativa, ho cercato di sentire anche qualche voce esperta, ma più scettica. Nessuno nega che l’anticorpo monoclonale sia un’innovazione importante, ma ci si chiede se convenga davvero darlo a tutti o integrarlo con la vaccinazione materna. A oggi non sono emersi effetti indesiderati del trattamento, ma prima di estenderlo a tutti i neonati qualcuno ritiene che sarebbe più prudente effettuare altri studi. Forse si potrebbe allargare oltre le fasce a maggior rischio i bambini da proteggere, senza adottare una vera e propria strategia universale.
Viceversa, dopo aver letto e riflettuto, a me pare che il rischio peggiore sia che - come già sta accadendo - alcune Regioni ordinino il farmaco e comincino a offrirlo ai genitori, mentre in altre parti di Italia questo non sarà possibile, accentuando le solite diseguaglianze. Per evitarlo bisognerebbe inserirlo nel Calendario vaccinale nazionale, così che le Regioni siano tenute a procurarselo. Se bisogna partire in autunno, non c’è tempo da perdere.
Le analisi farmaco-economiche dicono che l’approccio spagnolo non aumenterebbe la spesa rispetto al solo trattamento attuale con le iniezioni mensili ai neonati a rischio, ma permetterebbe anzi un risparmio di almeno 30 milioni di euro. Difficile poi quantificare il prezzo che pagano i genitori con un neonato in ospedale, soprattutto se il piccolo resterà più suscettibile del normale ad altre malattie respiratorie negli anni a venire. Ma anche gli effetti su quelli che, senza finire in ospedale, passano le loro notti seduti sul divano.
Come vedete, alla fine per fortuna è andato tutto bene
SIAMO PIENI DI PLASTICA
Tra le notizie di salute più clamorose della scorsa settimana vi segnalo uno studio italiano uscito sul New England Journal of Medicine, che ha trovato micro e nanoplastiche nelle placche aterosclerotiche delle carotidi del collo nella maggioranza dei pazienti esaminati. Ma quel che è peggio, nei tre anni successivi all’intervento di disostruzione delle arterie, le persone in cui si era trovato polietilene o polivinilcloruro avevano un rischio di 4,5 volte maggiore di morire o andare incontro a infarto o ictus. Quest’associazione con una conseguenza clinica importante fa la differenza tra questo lavoro e tante altre segnalazioni del genere, come quella che una decina di giorni fa aveva trovato microplastiche in tutti i campioni di placenta esaminati.
Su Dottore, ma è vero che sono tornata sul tema della menopausa e ho spiegato cos’è la malattia X.
Se invece vi chiedete perché questa newsletter si chiama Fosforo e miele, lo spiego in questo podcast, Connessioni, di Filippo Gigante, insieme ad altre cose.
E infine, ti aspetto con il Controglossario venerdì alle 17,30 a Siena, al Giardino segreto dell’Area verde Camollia, con Maurizio Boldrini e Simone Rossi.
Per il momento ti auguro un golosissimo weekend!
"Per questo gli estranei non devono prendere in braccio o sbaciucchiare i neonati. Se tuo figlio o tua nuora sono rigorosi su questo punto, rispettali." A mio marito dicono che sia geloso perché non vuole dare sua figlia in braccio. È bastato non essere gelosi una volta per farle prendere la prima influenza e passare due settimane a dormire sul divano... Fortunatamente tutto risolto a casa, non potrei immaginarmi di stare settimane in TIN!
Sempre un grande piacere leggerti.Sei davvero un faro.