#Ebbene sì, COVID lascia il segno
Quando dico che l’infezione, anche lieve, può riservare brutte sorprese, c’è sempre qualcuno che mi chiede le prove. Eccone alcune
“La gente non sta bene” diciamo spesso, riferendoci a comportamenti strambi o inspiegabilmente aggressivi. Ma “la gente non sta bene” anche fisicamente, e molti esperti si stanno convincendo che la pandemia (non le vaccinazioni, non i lockdown, e poi ti spiegherò il perché) stia lasciando sulla salute della popolazione umana un impatto molto maggiore rispetto alla punta dell’iceberg degli oltre 5.000 morti registrati dall’Organizzazione mondiale della sanità nell’ultimo mese a livello globale, o del centinaio di morti settimanali e oltre 2.000 ricoverati in ospedale che ancora abbiamo attualmente in Italia.
Nel Regno Unito, per esempio - riferiva in questi giorni il Guardian – dal 2020 il numero di persone che abbandonano il lavoro per ragioni di salute continua a crescere con un ritmo di circa 300.000 unità l’anno, senza che il fenomeno accenni a tornare ai livelli precedenti alla pandemia. Oltre ai 4 milioni di individui in età lavorativa che hanno lasciato il posto per malattia, ce ne sarebbero quasi altrettanti che tengono duro, ma con condizioni che ne limitano l’attività: un milione e mezzo in più di dieci anni fa.
Dati altrettanto allarmanti vengono dalla Spagna, dove per la prima volta più della metà degli adulti intervistati nel corso dell’indagine ufficiale Barómetro sanitario riferisce una malattia cronica o un problema di salute. Vabbè, dirai, si sa che la popolazione invecchia, per cui ci sta che aumentino gli acciacchi. Ok, invecchio anch’io, ma guarda questo grafico che ho preso dal profilo X di Samuel Hurtado, a capo dei modelli macroeconomici della Banca di Spagna: la quota di adulti con una malattia cronica o un problema di salute era in leggero aumento anche prima dal 2019, ma è schizzata in alto dal 2020. “Sarebbero 11,5 deviazioni standard rispetto alla tendenza precedente per quanto riguarda le malattie croniche e di 6,7 deviazioni standard per quanto riguarda le ospedalizzazioni” scrive l’economista, che quantifica la crescita attuale di malattia nella popolazione adulta spagnola in un tasso del 7,5% l’anno. “A questa velocità, in 8 anni tre quarti degli adulti spagnoli avranno problemi di salute, e in altri 8 anni si potrebbe raggiungere l’87%”.
Tratto dal profilo X di Samuel Hurtado
Il fardello è anche sui bambini
Una parte di questo carico di malattia ricade nell’ambito di quello che ormai chiamiamo long covid (anche se qualche ricercatore usa l’acronimo PACS, Post-Acute Covid Syndrome), di cui ti ho già parlato a lungo qui. Durante l’estate, uno studio pubblicato su JAMA Network ha ritoccato verso l’alto la quota di bambini e ragazzi, precedentemente sani, che dopo l’infezione hanno sviluppato questa condizione cronica: un bambino delle elementari su 5 e il 14% degli adolescenti studiati soddisfa i criteri che gli scienziati si sono dati per questa diagnosi.
Il pediatra Danilo Buonsenso - di cui già ti parlavo qua, nell’aggiornamento covid di fine agosto - ha coordinato lo studio più lungo tra quelli finora pubblicati, seguendo 1.300 pazienti da 0 a 18 anni seguiti presso l’ambulatorio long Covid dell’Ospedale Gemelli di Roma. Anche se la maggior parte guarisce, alcuni continuano a presentare sintomi fino a 3 anni di distanza dall’infezione iniziale. “Molti di quelli seguiti per tre anni, dopo l’infezione iniziale, non sono riusciti a riprendere la routine di tutti i giorni, con conseguenze negative sulla capacità di frequentare regolarmente la scuola o di svolgere le classiche attività extra-scolastiche, a causa dei sintomi debilitanti riportati” dice. C’è una protezione data dalla vaccinazione, ma l’effetto varia a seconda del numero di dosi ricevute o dall'età del paziente.
Intanto l’American Academy of Pediatrics ha recentemente stimato, solo per gli Stati Uniti, quasi 6 milioni di bimbi e ragazzi colpiti. Tornando agli adulti, i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta (CDC) stimavano a dicembre 2022 che solo nei primi due anni e mezzo di pandemia più di 3.500 americani avessero perso la vita per condizioni correlate a long covid.
No, non è stato il lockdown
Molti attribuiscono ai lockdown e alle misure di distanziamento la responsabilità dei danni alla salute che stiamo registrando. Negazionisti, ottimisti, fautori dell’immunità di gregge da ottenere lasciando circolare liberamente il virus tra i più giovani chiamano per questo sempre in causa la Svezia.
Il Paese scandinavo – forte anche di alcune condizioni peculiari, come l’ottimo sistema sanitario, la popolazione giovane e fuori casa prima dei vent’anni, una scarsa attitudine culturale ai contatti fisici stretti – ha scelto questa strada, che l’ha portato ad avere nel 2020 tassi di mortalità superiori a quelli degli altri Paesi nordici. Sorvolando sulle gravissime accuse ricevute per esempio da questo articolo, guardiamo alla situazione oggi. Sullo Scandinavian Journal of Public Health sono stati pubblicati nelle scorse settimane i risultati di un questionario rivolto a tutte le quasi 12.000 persone che si sono assentate dal lavoro per malattia nella prima fase della pandemia, secondo cui più di 8 persone su 10, a un anno e mezzo di distanza, soffrivano di qualche difficoltà nella vita quotidiana: la maggior parte fatica, ma anche disturbi cognitivi, del sonno o di tipo motorio. Attenzione, ha risposto poco meno della metà delle persone coinvolte, e questo vizia il dato perché è più facile che partecipi allo studio chi ha qualcosa da dire, ma è comunque, a mio parere, un elemento da non trascurare. Ci permette di dire, credo, che anche senza lockdown i danni ci sono ugualmente.
I danni da covid ci sono anche dove non si sono fatti lockdown
Il virus persiste
Tra i tanti meccanismi chiamati in causa per spiegare long covid potrebbero essere coinvolti particolari anticorpi che trasferiti nei topi riproducono alcuni sintomi dei pazienti da cui sono stati prelevati. Ma più di altre sta prendendo sempre piede l’idea che un ruolo importante sia giocato dal fatto che il virus riesce a restare nell’organismo per mesi o anni, come fanno molti altri.
Ci sono studi come questo, pubblicato su Nature, che, dati alla mano, ha dimostrato che da una a 5 persone su 1.000 continuano ad avere il virus nel sangue per almeno due mesi, con momenti in cui la carica virale torna a risalire. In questi casi, la probabilità di sviluppare long covid è superiore al 50%. Uno studio argentino condotto su campioni prelevati nel corso di autopsie a pazienti deceduti per covid ha trovato particelle virali vitali in tutti gli organi, dai polmoni al cuore, dal fegato ai reni e all’intestino. Questo in tutti i soggetti esaminati (una ventina), indipendentemente dal fatto che fossero vaccinati o non vaccinati, infettati con il virus originale di Wuhan o una delle varianti e sottovarianti omicron.
La localizzazione nell’intestino è interessante, perché spiega come mai alcuni continuino a eliminare il virus con le feci anche quando non è più rintracciabile nelle vie aeree e perché si trovino a volte nelle acque reflue delle fognature varianti apparentemente sparite dalla circolazione da mesi o anni.
Questo articolo su BMJ spiega come troppo spesso si ignorino i sintomi gastroenterici di SARS-CoV-2, erroneamente ritenuto un virus respiratorio. Illustra i possibili effetti del virus sul microbioma intestinale e viceversa. Un filone di ricerca interessantissimo su cui vorrei tornare, ma se per caso una sindrome dell’intestino irritabile ti compare dopo un banale raffreddore, beh, potrebbe non essere un caso, non essere sindrome dell’intestino irritabile e nemmeno un raffreddore. Moltissimi studi però confermano che la persistenza del virus si può verificare anche in persone del tutto asintomatiche. Qui se ne citano alcuni e si fa cenno anche ai diversi approcci terapeutici che si stanno provando per eradicarlo.
E le altre malattie?
A parte long covid, ti dicevo già qui delle tante altre malattie di cui covid potrebbe favorire la comparsa. Come ti dicevo, abbiamo ormai moli di prove che l’infezione può raggiungere praticamente tutti gli organi. Su come, quanto e quanto spesso li danneggi ci sono lavori in corso.
Il ritrovamento del virus nei testicoli, per esempio, provoca un calo della qualità dello sperma, che potrebbe avere un impatto temporaneo sulla fertilità, ma la maggior parte degli esperti ritiene sia un effetto temporaneo.
A preoccupare di più è l’effetto facilitante che SARS-CoV-2, come altre infezioni, può avere nella genesi del diabete di tipo 1, quello su base autoimmune, che tipicamente colpisce i più giovani. Sul legame tra la circolazione del virus e l’aumento dei casi nei bambini e negli adolescenti ci sono moltissimi dati, per cui ti rimando a questa review su Nature del giugno scorso che li mette in fila, spiegando possibili meccanismi d’azione e prove a supporto. Una revisione sistematica con metanalisi del 2022, riferita quindi al primo anno e mezzo di pandemia, che considerava il confronto tra oltre 4, 2 milioni di persone guarite da covid e 43 milioni di controlli, aveva individuato nelle persone infette un rischio di sviluppare il diabete di tipo 1 aumentato del 66%.
Sempre in quella prima fase, il rischio di un esordio di diabete di tipo 1 nei bambini e ragazzi in cui era stato dimostrato covid è risultato circa il doppio nei sei mesi successivi al tampone positivo rispetto a quello di chi aveva avuto un’altra infezione respiratoria. Il fenomeno si continua a studiare, anche per capirne meglio i meccanismi.
Dopo l’infezione aumenta anche il rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni, nei bambini come negli adulti. Triplicano le probabilità di una diagnosi di artrite reumatoide o di lupus eritematoso sistemico, quasi raddoppia quella di vasculite e aumenta di quasi l’80% il rischio di una malattia infiammatoria intestinale come la colite ulcerosa o la malattia di Crohn.
Studiatissimi, fin dai primi mesi della pandemia, anche gli effetti su cuore e vasi sanguigni. Le prime autopsie già mostravano quel che poi è stato più volte confermato: SARS-CoV-2 non è solo un virus respiratorio, ma può agire sulla superficie interna di vene e arterie favorendo la formazione di trombi ed emboli, a loro volta responsabili di infarti e ictus.
Un enorme studio condotto esaminando i dati di 48 milioni di persone in Inghilterra e Galles ha mostrato che nella prima settimana dopo la diagnosi il rischio di andare incontro a una prima trombosi arteriosa o a una tromboembolia venosa era rispettivamente di quasi 22 e di oltre 33 volte superiore a quello di chi non aveva avuto covid. Nelle settimane successive il rischio scendeva, ma dopo sei mesi-un anno e mezzo, era ancora di un terzo e dell’80% superiore a quello di chi aveva scampato l’infezione. In pratica, in quasi un anno di pandemia c’erano stati 1,4 milioni di casi di covid, con 7.200 episodi di trombosi arteriosa e 3.500 di tromboembolia venosa in più rispetto al periodo prepandemico.
Su oltre 20 milioni di pazienti è stato dimostrato che nell’anno successivo a covid il rischio di miocardite è cinque volte superiore a quello di chi non è reduce dall’infezione. È vero che anche la vaccinazione contro covid con i prodotti a mRNA aumenta il rischio rispetto ai non vaccinati, e in questo articolo di giugno Marco Cavaleri, responsabile vaccini di EMA, insieme a due colleghi, prova a fare il punto su tutto ciò che si sa su questo. Prima che venissero introdotti i vaccini, però, si era già visto che l’infezione aumenta il rischio di miocardite di 16 volte e la vaccinazione di 3,24 volte rispetto ai non vaccinati. Nei casi da vaccino, la sintomatologia è nella maggior parte dei casi (non proprio sempre) più lieve e transitoria, anche se uno studio su 330 pazienti pubblicato su eClinical Medicine e strombazzato dal senatore Claudio Borghi mostra la possibilità che alcune lesioni evidenziabili alla risonanza magnetica possano persistere a lungo, anche senza dare disturbi.
L’effetto sul cervello
Sempre la risonanza magnetica eseguita prima e dopo l’infezione mostra già dalla primavera 2022 i danni cerebrali provocati da SARS-CoV-2. Da allora sono seguiti tanti studi, come questo, che mostra un aumento del 70% del rischio di ricevere una diagnosi di malattia di Alzheimer nell’anno successivo a covid.
Inoltre, per studiare nei dettagli le caratteristiche dell’infezione, il comportamento del virus, i tempi di incubazione, l’evoluzione della malattia, nel 2021, a 34 volontari giovani, sani, che non erano ancora mai venuti a contatto con SARS-CoV-2, venne instillata nel naso la variante originale di Wuhan. Studi di “challenge” come questo, per ovvie ragioni di sicurezza, non sono mai fatti sugli esseri umani. Solo la convinzione che si trattasse di un “banale virus del raffreddore” poteva autorizzarlo. E alla faccia del raffreddore. Anche se nessuno dei partecipanti si è accorto di disturbi cognitivi, i test mostrano un impatto significativo in questo ambito rispetto ai volontari non infettati, sia subito, sia a distanza di mesi, fino all’ultimo controllo, eseguito a distanza di un anno. Le capacità più compromesse, seppure lievemente, risultano la memoria e le funzioni esecutive, cioè i processi cognitivi da mettere in atto per pianificare e agire in vista di un obiettivo.
Che fare?
Vabbè, e allora? Ci vuoi spaventare? No, e non credo che si debba tornare alle misure coercitive dei primi anni di pandemia, né che si debba alimentare la paura. Ma un po’ di sana consapevolezza credo ci potrebbe aiutare.
Parto da me. Anch’io, come tutti, ho ripreso la vita che facevo prima della pandemia, senza la paura di prendere il coronavirus più famoso del mondo. Ormai sono quasi 4 anni da quando è comparso al mercato del pesce di Wuhan (e sì, ci sono nuove prove che tutto sia partito da lì). Ho tre (o quattro?) dosi di vaccino e due infezioni certificate (posizionate in momenti tali per cui non ho fatto, finora, altri richiami). Un paio di altre volte, pur con un tampone casalingo negativo, sono stata male in un modo che mi ha fatto sospettare di essermi contagiata di nuovo, e mi sono comportata come se lo fossi.
Per il resto viaggio spesso, vado al cinema e al ristorante senza pensarci più, ma tengo d’occhio l’andamento della circolazione del virus: all’inizio dell’estate, quando si era quasi azzerata, lo ignoravo proprio, ma da qualche settimana sto un po’ più attenta.
Ma la nostra buona volontà fa poco senza quella dei decisori, che dovrebbero smetterla con la comunicazione ambigua e cominciare a mettere ovunque, almeno nei luoghi pubblici, filtri d’aria che abbattano il rischio non solo di covid, ma anche di influenza e altre infezioni respiratorie.
SEGNALAZIONI
Ci vediamo:
domenica 6 ottobre alle 15 al Festival del Giornalismo Culturale di Urbino con Ilaria Iacoviello, già giornalista di Sky TG24 e oggi Responsabile Education e formazione nelle scuole di Fondazione Leonardo. Potete anche seguire tutti gli eventi in streaming qui
mercoledì 9 ottobre alle 17 a Parolario, Pinacoteca Civica di Como, in via Diaz, 84, presentazione del mio Controglossario di Medicina
da venerdì 11 a domenica 13 ottobre sarò al CICAP Fest a Padova:
- condurrò la rassegna stampa del mattino al Caffè Pedrocchi con Marco Ferrari
- modererò il FondamenTalk di AIRC: “Quello che gli screening ci dicono”, con Guendalina Graffigna, psicologa dei consumi di salute all’Università Cattolica di Milano e Cinzia Campari del Centro Screening Oncologici AUSL-IRCCS di Reggio Emilia
- sempre al Caffè Pedrocchi sabato 12 alle 15,30 con Mario Cardano: “Comprendere i genitori no-vax”
domenica 13 a Cortona, Centro convegni di Sant’Agostino, di nuovo con il Controglossario per il primo festival della scienza Cauthamente
Ti auguro un romantico weekend di foliage autunnale. Ciao!
Io di nuovo positivo anche asintomatico 3 mesi dopo l'ultima infezione. Bella bestiolina che abbiamo lasciato circolare. La cosa più sconcertante è sentire da una cara amica che ha scoperto di recente di soffrite di problemi di udito che l'otorino le ha detto che la causa potrebbe essere stata l'infezione covid come il vaccino stesso (e che starebbero infatti vietandolo ai giovani). E niente, la disinformazione non arriva solo dai senatori.
Buonasera, a mio parere bisogna rendersi conto che, fintantoché il virus circola, non ci sono motivi per non indossare la mascherina al chiuso in presenza di altre persone che non siano la disinformazione, il groupthink e la peer pressure, e che il fastidio connesso a questa precauzione, sia pur prolungato, non è confrontabile ai rischi che si corrono omettendola; paragonerei l'interpretazione nel senso di "bisogna smettere di indossare le mascherine" del mantra "bisogna convivere con il virus" (visto che il COVID "is here to stay") al consiglio di smettere di usare lo spazzolino in considerazione del fatto che anche il rischio di carie ci farà compagnia per il resto della nostra vita (con la differenza che la carie è curabile, mentre molte conseguenze del COVID potrebbero non esserlo mai).
Mi si consenta di citare me stesso da un precedente commento (da https://robertavilla.substack.com/p/28-covid-ehi-ci-sono-anchio/comments ):
“A questo punto, visto che ormai manca un endgame nelle politiche sanitarie, essendosi dimostrata illusoria ogni forma di immunità collettiva anche a causa delle continue mutazioni del virus, e ci si è rassegnati al “forever COVID”, a mio parere l’unica condotta razionale è continuare a indossare sempre una FFP2 (o mascherina di grado superiore) al chiuso e nei luoghi affollati all’aperto, fintantoché il virus continuerà a circolare, per cercare di ridurre al minimo il numero di reinfezioni: visto che non sembra che esista un limite a tale numero, paragonerei il non indossare una mascherina al giocare un numero indeterminato di volte alla roulette russa con la propria salute, fino all’impatto con il proiettile del long COVID.
Chi pensa che queste precauzioni siano allo stato attuale eccessive, consideri che non sono ritenute tali da esperti di long COVID della levatura del già menzionato prof. Al-Aly
https://youtube.com/watch?v=M4Nzhpeu2Y8&pp=ygUMeml5YWQgYWwtYWx5
e della prof.ssa Akiko Iwasaki ( https://medicine.yale.edu/profile/akiko-iwasaki/ ), che nel seguente clip (risalente a qualche mese fa) afferma di continuare a indossare la mascherina “ovunque, specialmente al chiuso, in situazioni affollate”, proprio per evitare di contrarre la sindrome che conosce bene.
https://youtube.com/watch?v=rMt6ZV-hHSE&t=3681s “
(I due studiosi sono fra gli autori del recente e autorevole review article sul long COVID https://www.nature.com/articles/s41591-024-03173-6 ).
Gentile dott.ssa Villa, anche alla luce delle sue considerazioni nell’ultimo paragrafo di questo articolo, vorrei chiederle un parere sull’auspicio che ho espresso alcune settimane fa (da https://robertavilla.substack.com/p/27-mpox-unemergenza-per-lafrica-o/comments ):
“A mio parere, ignorare l’attuale rischio di long COVID è antiscientifico, e sarebbe molto utile se associazioni come il CICAP promuovessero l’uso delle mascherine (FFP2 o di grado superiore) nei luoghi chiusi (e anche in quelli affollati all’aperto), in particolare nelle scuole in vista della riapertura, in aggiunta all’installazione di adeguati impianti di aerazione e filtri HEPA.
Su quest’ultimo punto mi rifaccio anche al seguente commento del prof. Lopalco a proposito di un recente studio su Science, “Lessons from the COVID-19 pandemic for ventilation and indoor air quality” ( https://www.science.org/doi/10.1126/science.adp2241 ):
“Ma le indicazioni di questo studio dovrebbero immediatamente essere prese in carico dal legislatore per garantire, almeno, la qualità dell’aria negli spazi pubblici, primi fra tutti scuole e Università”
https://www.repubblica.it/salute/2024/07/30/news/pericolo_contagio_covid_sette_passi_per_ripulire_laria_dal_virus-423420096/ “
Grazie per l’attenzione e cordiali saluti.